L'Oasi di Sant'Alessio è un giardino che consente a chi ama la natura di entrare in contatto ravvicinato con alcuni dei suoi fenomeni più segreti


Nel 1994, su invito degli amici della LIPU, l'Oasi di Sant'Alessio fu resa visitabile. 

Si scoprì presto, con qualche sorpresa, che gli animali selvaggi che popolavano quell'ambiente tolleravano bene la presenza umana.

Si costruirono quindi camminamenti "segreti", che consentono ora al visitatore di penetrare nel cuore della garzaia (così si chiama, in gergo, la nidificazione coloniale degli aironi), o a pochi centimetri dal martin pescatore e dal picchio rosso, o a pochi metri dai fenicotteri, dalle cicogne, dai mignattai.

Si tratta di un giardino che consente a chi ama la natura di entrare in contatto ravvicinato con alcuni dei suoi fenomeni più segreti, senza sottoporsi ad addestramenti particolari e ad estenuanti attese, e senza possedere attrezzature e conoscenze che sono prerogativa di pochi professionisti.


Fra l'altro, senza infastidire popolazioni di animali selvatici. L'Oasi iniziò a nascere nel 1973, quando Antonia e Harry Salamon acquistarono il castello di Sant'Alessio e quel poco di terra che gli sta intorno tuttora.

Nell’Oasi, che va vista come un tempio dedicato alla vita selvaggia, spazi e allestimenti sono concepiti per eliminare o almeno minimizzare l’impatto, anche estetico, dell’artificiale sul naturale. Qui infatti si può ammirare la vita ed il comportamento di diverse varietà di uccelli. L’oasi è un luogo unico nel suo genere perché l’osservazione diretta non danneggia la tranquillità dei volatili grazie al particolare approccio approntato che anche i meno esperti possono praticare.

Dall'oasi sono stati reintrodotte in natura diverse specie di uccelli, per citarne alcuni: falchi pellegrini, cicogne bianche, cavalieri d'Italia, oche selvatiche e ibis eremita. L'oasi è specializzata nell'allevamento dell'ornitofauna, vanta una collezione che contempla anche mammiferi, rettili, pesci e insetti. Tra i mammiferi spiccano i bradipi, i callitricidi (piccole scimmie sudamericane) e i castori. Nelle serre è inoltre possibile osservare farfalle tropicali che svolazzano fra le numerose piante, che ricreano l'ambiente forestale dei tropici.


A parte la passione, un po' scientifica e un po' sentimentale per l'architettura medievale, c'era il progetto, accarezzato dall'infanzie e dall'infanzia preparato, di creare un allevamento di specie in pericolo, per ripopolarne la natura.


Antonia e Harry avevano una preparazione scientifica e una cultura liberale e pragmatica. Conoscevano la situazione della natura -in Italia e non solo- ed erano convinti che, per salvarne il salvabile, l'uomo dovesse darsi da fare.


La terra acquistata era un grande campo di erba medica. Non c'era un solo albero, un maleodorante rigagnolo -chiamarlo fogna sarebbe fargli un complimento- la attraversava tutta. Quel che oggi si vede è stato tutto costruito dopo.
Non avevano tenuto conto, per giovanile ingenuità, che una piccolissima ma determinata parte dell'umanità si stava costruendo una specie di religione ambientale, fatta di conoscenze naturalistiche poco masticate -per esempio la convinzione che la natura sarebbe in un equilibrio distrutto dalla specie umana-di ignoranza dell'irreversibilità delle alterazioni compiute, di ossessione per la propria salute, di masochistico odio per l'umanità e per le sue conquiste, di ignoranza di ciò che era la vita umana solo un paio di generazioni or sono, il tutto condito da una buona dose di intolleranza e fomentato, già allora, dalla burocrazia (che voleva appropriarsi del nascente settore) e da un associazionismo assetato di soldi e di potere e cui formicolavano le mani dalla voglia di farsi parte politica.

Erano gli anni in cui il Falco pellegrino stava scomparendo dall'Europa e dal Nordamerica. Si pensava che il Cavaliere d'Italia -che in realtà stava solo compiendo uno dei suoi periodici spostamenti- fosse in pericolo d'estinzione. La Cicogna bianca mancava dall'Italia da cinque secoli e i pochi esemplari che transitavano sul nostro Paese, durante la migrazione stagionale, finivano immancabilmente imbalsamati (molti agricoltori tenevano il fucile sul trattore). Molte specie, ora protette, erano ancora sulla lista dei "nocivi".


Queste furono quindi le prime tre specie cui ci dedicammo (ebbene, sì, siamo ancora qui e siamo noi a scrivere questi appunti). Nel 1977, copiando fedelmente le strutture inventate da Tom Cade all'Università Cornell, costruimmo l'allevamento dei Falchi pellegrini, ancora esistente, rimasto per oltre vent'anni la più importante struttura del genere in Europa. Creammo una colonia di Cavalieri d'Italia, con esemplari importati dalla Tunisia. Nel 1981 Renato Massa, il magnifico naturalista, mente scientifica della rivista Airone, ebbe a dire "credevo che l'allevamento dei Cavalieri d'Italia fosse una bufala inventata da Salamon, quando mi trovai a camminare fra i nidi, numerosi come fossero galline". Una frase che ci è rimasta nel cuore. Nel 1984 arrivammo ad allevarne e liberarne 127. Dall'allevamento di Bucci, a Faenza, ottenemmo le prime cicogne. Già nel 1977 un gruppo di sei fu reintrodotto in natura, quindici anni prima di ogni altro tentativo italiano. Le sei furono poi seguite da altre 500 o più.


Nel 1983, su iniziativa di Gabriele Caccialanza, dell'Università di Pavia, uno dei nostri mentori e protettori, incontrammo Roberto Gatti, Assessore all'Ambiente della Provincia di Pavia. Personaggio indimenticabile, tutto d'un pezzo, generoso e coraggioso. Comprese subito ciò che facevamo. Ci circondò da 100 ettari di fascia protetta, destinati a diventare 300. Ci fece dare perfino un po' di soldi. Fu però presto cacciato perché non si piegava alle "logiche" della politica. I suoi successori ridussero i 100 ettari a 30.

Dopo molte incomprensioni -chiamiamole così- per iniziativa del compianto Alessandro Muzi Falconi, il neodirettore della Lipu, Marco Lambertini, ci venne a trovare. Poteva farlo, perché, in seguito alla scoperta della possibilità di determinare con certezza la maternità/paternità con il mezzo del DNA, avevamo, con l'aiuto di Vittorio Vigorita, un illuminato funzionario della Regione Lombardia, costretto le Autorità italiane a importare il metodo in Italia e ci eravamo prestati a fare da cavia.


Il perfetto risultato dell'esperimento aveva fatto dimenticare le polemiche e spianato la strada all'incontro. Lambertini era -è- un manager di cultura naturalistica, liberale e pragmatico. Trovammo rapidamente un accordo, per cui noi avremmo donato alla Lipu, che avrebbe provveduto alla reintroduzione in natura, nelle proprie Oasi, tutto il prodotto dei nostri allevamenti.


Lambertini, come molti uomini pragmatici, aveva in realtà una visione. Era convinto che le associazioni ambientaliste dovessero staccarsi dalla mammella dello Stato e dovessero abbandonare la strategia frignona e rissosa. E non dovessero ricorrere a scorciatoie di politica e di sottopolitica. Voleva che potessero vivere della propria professionalità: consulenze, gestioni e così via. Forse precorreva i tempi. Qualche anno dopo sarebbe andato in Inghilterra ad applicare le sue idee per Bird Life, la "mamma" della Lipu.


Pochi anni dopo, Renato Massa portò a visitare l'Oasi Sergio Frugis, il maggior ornitologo italiano del secolo scorso. Ne nacque un'amicizia fraterna, uno dei ricordi più preziosi che abbiamo. Sergio divenne il direttore scientifico di Sant'Alessio e lo rimase fino alla morte.




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