agosto 27, 2011

La Grotta Azzurra, antro da favola, ninfeo dell'Imperatore Tiberio.

La Grotta Azzurra di Capri è nota in tutto il mondo per la sua vastità, la colorazione azzurra del suo interno e lo splendore bianco argenteo che assumono gli oggetti immersi nelle sue acque.

Ci sono due modi per arrivare alla Grotta Azzurra: da Anacapri con i mezzi di trasporto o via mare partendo da Marina Grande con i motoscafi che, facendo il giro dell'isola di Capri, fermano all'ingresso della grotta.

Per entrare nella Grotta Azzurra bisogna salire su piccole barche a remi, in due o tre persone al massimo e, stesi sul fondo, si attraversa lo stretto e basso varco naturale aperto nella roccia.

L'operazione è impossibile nei giorni in cui tira il vento di libeccio o di maestrale. L'ingresso della Grotta Azzurra è un piccolo varco nella parete rocciosa, largo circa 2 metri e alto altrettanto, che si trova sopraelevato sul livello del mare di circa 1 metro, per questo motivo per entrare bisogna distendersi sulla barca.

Il rematore abbandona i remi e spinge la barca dentro afferrando una catena murata sulla volta dell'ingresso. L'ambiente interno appare tutto di colore azzurro, la volta, definita Duomo Azzurro, ha un'altezza media di 7 metri arrivando a 14 nella parte più interna; la cavità d'erosione è lunga circa 60 metri e larga al massimo 25. La grotta continua con la Galleria dei Pilastri, tre rami comunicanti tra loro che confluiscono nella Sala dei Nomi, chiamata così per le numerose firme dei visitatori apposte sulle pareti, e il Passaggio della Corrosione, fino all'estremo punto accessibile, la Sala della Corrosione.

La colorazione azzurra della grotta è dovuta al fatto che la luce del giorno entra attraverso una finestra sottomarina che si apre esattamente sotto il varco d'ingresso, subendo in tal modo una filtrazione da parte dell'acqua, che assorbe il rosso e lascia passare l'azzurro. Un secondo fenomeno determina i riflessi argentei degli oggetti immersi: le bolle d'aria che aderiscono alla superficie esterna degli oggetti, avendo indice di rifrazione diverso da quello dell'acqua, permettono alla luce di uscire.

Si pensa che l'interno della Grotta Azzurra in epoca romana, al tempo di Tiberio, fosse utilizzato come ninfeo marino. C'è stato anche chi l'ha immaginata come un luogo di Nereidi o di Sirene e chi riteneva fosse il regno di diavoli che intimorivano chiunque osasse entrarvi.
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L'Isola di Bergeggi isolotto situato nei pressi della costa ligure che fa parte della riserva naturale regionale di Bergeggi.

L'Isola di Bergeggi è un isolotto situato nei pressi della costa ligure, nella Riviera di Ponente, di fronte al comune di Bergeggi.

L'estremità del piccolo promontorio di Punta Predani dista dall'isola poche centinaia di metri.

L'isola, che fa parte della Riserva naturale regionale di Bergeggi, ha una costa rocciosa medio-alta, che si erge sul mare fino a 53 metri di altezza.

L'ambiente naturale include frammenti di macchia mediterranea. Sulle rocce bagnate dalle onde si trovano il finocchio di mare e la statice della riviera, oltre ad altre specie quali la Campanula sabatia e l'Euphorbia dendroides.

La zona marina circostante l'isola era stata inserita tra le aree per le quali sarebbe stato istituito un'area marina protetta, per via delle caratteristiche dei fondali dal punto di vista biologico: il Decreto ministeriale del 7 maggio 2007 ha reso effettiva l'istituzione dell'Area naturale marina protetta Isola di Bergeggi.

L'isola presenta segni di insediamento umano, nella fattispecie di popolazioni liguri risalenti a epoca pre-romana. Sulla sommità vi è situata una torre di avvistamento a base circolare e i resti di una chiesa del IV secolo dedicata al santo di origine africana Eugenio.

L'isolotto è stato infatti noto anche come "isola di sant'Eugenio". Nel corso dei secoli e, a seconda di chi abitava nei borghi vicini, è stato chiamato come "Isoletta di Liguria", "Isola di Spotorno", "Isola di Noli" e, nome che ha poi prevalso, "Isola di Bergeggi".


Una leggenda, popolare tra gli abitanti del vicino comune di Noli, narra che l'isola stessa sia arrivata di fronte alla costa ligure "traghettando" su di sé i santi Eugenio e Vendemiale che fuggivano dalle persecuzioni dei Vandali. Sant'Eugenio era il vescovo di Cartagine e rimase sull'isola fino alla sua morte mentre Vendemiale ripartì per la Corsica. Le spoglie di sant'Eugenio vennero traslate a Noli dove divenne il patrono della città. La leggenda vuole che alcuni anni dopo le spoglie del santo sarebbero ritornate da sole sull'isola.



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giugno 29, 2011

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia.

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia, abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso.

Boschi di larici e abeti, vaste praterie alpine, rocce e ghiacciai costituiscono lo scenario ideale per la vita di una fauna ricca e varia e per una visita alla scoperta del meraviglioso mondo dell'alta montagna.

Il Gran Paradiso (in francese, Grand Paradis) (4.061 m s.l.m.) è una montagna delle Alpi Graie e la principale del massiccio omonimo. La vetta è totalmente in Valle d'Aosta anche se la sezione meridionale del suo massiccio arriva sino in Piemonte.

La vetta è al confine fra i comuni di Cogne e Valsavarenche ed è l'unica cima completamente italiana che supera i 4.000 metri.

Dai fianchi della montagna scendono diversi ghiacciai: dal versante occidentale verso la Valsavarenche scendono il Ghiacciaio del Gran Paradiso ed il Ghiacciaio del Laveciau; nel versante orientale verso la Val di Cogne scende il Ghiacciaio della Tribolazione.


Gli ambienti del parco
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Il Parco nazionale Gran Paradiso protegge un'area caratterizzata da un ambiente di tipo prevalentemente alpino. Le montagne del gruppo sono state in passato incise e modellate da grandi ghiacciai e dai torrenti fino a creare le attuali vallate.

Nei boschi dei fondovalle gli alberi più frequenti sono i larici, misti agli abeti rossi, pini cembri e più raramente all'abete bianco.

A mano a mano che si sale lungo i versanti gli alberi lasciano lo spazio ai vasti pascoli alpini, ricchi di fiori nella tarda primavera. Salendo ancora e fino ai 4061 metri del Gran Paradiso sono le rocce e i ghiacciai che caratterizzano il paesaggio.

Storia.


Le vicende del Parco nazionale del Gran Paradiso sono indissolubilmente legate alla protezione dello stambecco. Già nel 1856 il re Vittorio Emanuele II aveva dichiarato Riserva Reale di Caccia queste montagne salvando in questo modo dall'estinzione lo stambecco che in quegli anni aveva ridotto la sua popolazione a livelli allarmanti.

Il re aveva poi formato un corpo di guardie specializzate e fatto costruire sentieri e mulattiere che ancora oggi costituiscono la migliore ossatura viaria per la protezione della fauna da parte dei guardaparco e formano il nucleo dei sentieri escursionistici.

Nel 1919 il re Vittorio Emanuele III si dichiarò disposto a regalare allo Stato italiano i 2100 ettari della riserva di caccia, purché vi creasse un parco nazionale. Il 3 dicembre 1922 veniva istituito il Parco nazionale del Gran Paradiso, il primo parco nazionale italiano. L'area protetta fu gestita fino al 1934 da una commissione dotata di autonomia amministrativa.

Furono anni positivi per il parco: gli stambecchi aumentarono considerevolmente di numero e vennero ripristinati i 340 chilometri di mulattiere reali. Negli stessi anni però si verificò un arretramento dei confini originari e si realizzarono le grandi opere idroelettriche in Valle Orco.

Gli anni successivi, durante i quali l'area protetta fu gestita direttamente del Ministero dell'agricoltura e foreste, furono i più bui: il licenziamento delle guardie locali, lo svolgersi di manovre militari all'interno del parco e il verificarsi della seconda guerra mondiale fecero precipitare la popolazione di stambecchi ai soli 416 capi del 1945. Fu grazie alla tenacia e all'impegno del Commissario Straordinario Renzo Videsott se le sorti del parco si risollevarono e lo stambecco si salvò dall'estinzione: l'area protetta infatti, grazie al decreto De Nicola, venne definitivamente affidata alla gestione di un ente autonomo il 5 agosto 1947.

Gli anni sessanta e settanta furono anni di grandi conflitti e di incomprensioni tra il parco e le popolazioni locali, che si ritenevano eccessivamente vincolate dall'area protetta. Poi, più recentemente, si è iniziato a capire che il parco poteva essere anche un'occasione di rilancio e di sviluppo per l'economia delle vallate e, oggi, enti locali e parco collaborano a stretto contatto per numerosi progetti.

Il Gran Paradiso intanto ha avviato una stretta e proficua collaborazione con il vicino parco francese della Vanoise nel tentativo di costruire una grande area protetta europea.

Il Parco ha avuto, fin dal dopoguerra, particolare attenzione nei confronti della ricerca scientifica. A partire dagli anni cinquanta, compaiono infatti i primi studi pubblicati nella Collana scientifica dell'Ente, per lo più effettuati da ricercatori dell'Ateneo torinese. Sono indagini sulla fauna, sulla fisiologia del letargo della marmotta, sulla storia geologica dello stambecco, sulle abitudini alimentari della volpe e sulla flora presente nell'area protetta. Particolarmente ricche sono le ricerche pubblicate sull'anatomia e sulla patologia dello stambecco e del camoscio, per certo dovute all'influenza dell'allora direttore Renzo Videsott, veterinario e libero docente presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino.

In quei tempi il Parco non aveva risorse per finanziare ricerche specifiche, tuttavia investiva nella pubblicazione delle ricerche effettuate in modo da determinare la nascita di una collana scientifica che, oggi, idealmente, prosegue con le pubblicazioni collegate a IBEX-Journal of Mountain Ecology. In anni più recenti il Parco ha potuto investire in modo cospicuo nel finanziamento della ricerca scientifica, nonostante le esigue risorse disponibili, offrendo la possibilità a ricercatori, nazionali e internazionali, di produrre importanti contributi alla conoscenza dell'eco-etologia di molte specie protette (stambecco, camoscio, marmotta, gracchio alpino, piccoli mammiferi, carabidi, ecc.).

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Come arrivare.


Mappa parco
Effettua il volo virtuale sul Parco e sulle altre aree protette alpine. Il software Google Earth deve prima essere installato sul vostro computer, scarica Google Earth
    In auto
  • Per il versante piemontese del parco: da Torino si percorre la SS 460 della Valle Orco, svoltando sulla destra a Pont Canavese per la Val Soana o proseguendo fino a Ceresole Reale; - da Ivrea (raccordo autostradale Milano) si segue la SS 565 di Castellamonte che si innesta sulla SS 460 a Rivarolo Canavese. IMPORTANTE: a causa di strettoie e per la presenza di tornanti lungo la Valle Orco, gli autopullman turistici privati possono essere lunghi fino ad un massimo di 12 metri (con autisti esperti) e devono essere dotati di sollevatore funzionante. 
La SP 50 per il Colle del Nivolet è chiusa al traffico dal 15/10/2010 al 15/05/2011, per informazioni sulla riapertura visitare il sito della Provincia di Torino
  • Per il versante valdostano si percorre l'autostrada A5, uscendo al casello di Aosta-ovest e seguendo le indicazioni per le valli di Cogne, Savarenche e Rhêmes.
  • In treno
  • Il versante piemontese del Parco si raggiunge dalle stazioni ferroviarie di Torino, Ivrea e Pont Canavese con mezzi pubblici.
  • Il versante valdostano del Parco si raggiunge dalla stazione ferroviaria di Aosta con mezzi pubblici.
  • Per informazioni su orari e tragitti dei treni: Trenitalia In autobus
  • Le valli piemontesi del Parco sono servite dalle linee GTT tel. 800-019152.
  • Le valli valdostane del Parco sono servite dalle linee SAVDA tel. 0165-361244.
  • In aereo
  • Il Parco è servito dagli aereoporti di Torino e Aosta.



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Gran Paradiso from Ivo Magliola on Vimeo.
 
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maggio 22, 2011

Le Dolomiti, patrimonio naturale dell'Unesco ammirate da tutto il mondo.

Le Dolomiti (anche dette Monti pallidi) sono un sezione alpina delle Alpi Orientali, in Italia.

Normalmente con il termine Dolomiti si è soliti riferirsi a quell'insieme di gruppi montuosi, caratterizzati da una prevalente presenza di roccia dolomitica, convenzionalmente delimitati a nord dalla Rienza e dalla Val Pusteria, a ovest dall'Isarco e l'Adige con la valle omonima, a sud dal Brenta da cui si stacca la Catena del Lagorai al confine con la Val di Fiemme e a est dal Piave e dal Cadore.

L'esistenza delle Dolomiti d'Oltrepiave, situate a est del fiume Piave, nelle province di Belluno, Udine e Pordenone (e anche in parte dell'Austria, in bassa Carinzia), delle Dolomiti di Brenta, collocate nel Trentino occidentale, delle Piccole Dolomiti, fra Trentino e Veneto, e di affioramenti sparsi sulle Alpi (ad esempio la cima del Gran Zebrù nel gruppo Ortles-Cevedale) evidenzia la natura puramente convenzionale di questa delimitazione territoriale (talvolta si parla anche di Dolomiti Orientali per riferirsi alla parte sopra menzionata, e di Dolomiti Occidentali, per riferirsi alle Dolomiti di Brenta).

Un fenomeno particolare ed affascinante che caratterizza le Dolomiti è l'Enrosadira: si tratta di un'effetto luce spettacolare che colora le cime innevate di rosa , rosso e viola: ciò è dovuto alla speciale composizione delle rocce dolomitiche: carbonato di calcio è magnesio.
Riflettendo la luce del sole, all'alba ed al tramonto, le cime innevate sembrano infatti colorarsi di tonalità rosa e rossastre.

Questo fenomeno è più spiccato in alcuni monti, primi tra tutti il Catinaccio-Rosengarten, la Croda Rossa di Sesto e la Croda Rossa d'Ampezzo.

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Lago di Molveno
L'area dolomitica si estende tra le province di Belluno - entro i cui confini è situata la parte più rilevante - Bolzano, Trento, Udine e Pordenone.

La SOIUSA, basandosi su criteri di delimitazione soltanto geografici, adotta confini diversi: inserisce in altre sezioni ammassi dolomitici come le Piccole Dolomiti e le Dolomiti di Brenta, mentre include nella sezione 31 degli ammassi porfirici come il Lagorai e la Cima d'Asta.
Origine del nome.

Le Dolomiti prendono il nome dal naturalista francese Déodat de Dolomieu (1750-1801) che per primo studiò il particolare tipo di roccia predominante nella regione, battezzata in suo onore dolomia (carbonato doppio di calcio e magnesio, MgCa(CO3)2 ).

Storia geologica.

La genesi di questo tipo di roccia carbonatica inizia attraverso l'accumulo di conchiglie, coralli e alghe calcareee in ambiente marino e tropicale (simile all'attuale barriera corallina delle Bahamas, e dell'Australia orientale). In particolare, questi accumuli ebbero luogo nel Triassico, circa 250 milioni di anni fa (ricorda che il genere Homo compare 3 milioni di anni fa), in zone con latitudine e longitudine molto diverse dall'attuale locazione delle Dolomiti, dove esistevano mari caldi e poco profondi.

Sul fondo dei mari si accumularono centinaia di metri di sedimento che si trasformarono sotto il loro stesso peso perdendo i fluidi interni e diventando roccia. Successivamente, lo scontro tra la placca europea e la placca africana (orogenesi alpina) fece emergere queste rocce innalzandole oltre 3000 m sopra il livello del mare.

Il paesaggio attuale, spigoloso e ricco di dislivelli, compare all’occhio del turista come un crogiuolo disordinato di rocce che nulla ha a che fare con le barriere coralline. A determinare tale trasformazione sono stati: i piegamenti e le rotture delle rocce lungo piani di scorrimento (faglie), ai cui movimenti corrispondono altrettanti terremoti; episodiche esplosioni vulcaniche e relativi depositi; erosioni differenziali legate agli agenti atmosferici e ai piani di debolezza insiti nelle rocce.


L'innalzamento delle rocce dolomitiche è tutt’ora in corso. Oggi le Dolomiti mostrano il biancore dei carbonati di scogliera corallina, l'acutezza di rocce coinvolte in orogenesi recenti, le incisioni di potenti agenti esogeni (ghiacciai, vento, pioggia, freddo-caldo…). Numerosi parchi naturali proteggono questa particolare natura e vari comitati ad hoc sono impegnati nel proporre le Dolomiti come patrimonio dell'umanità.

Nel futuro geologico le Dolomiti continueranno a crescere inglobando nuovi settori di rocce sospinte dallo scontro tra le placche europea e africana (come per la catena himalayana); la scomparsa di questa spinta determinerà il prevalere degli agenti esogeni tendenti ad appianare e addolcire il paesaggio montano (come succede negli Urali).

L'Ente Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi è un "Ente pubblico autonomo non economico" la cui attività è regolata dalla legge quadro sulle aree protette: la 394 del 1991.
Le finalità
  • Tutela di un complesso di valori naturalistici, storici, paesaggistici e ambientali e conservazione dei valori biogenetici della flora e della fauna nonchè degli attuali aspetti geomorfologici.
  • Creazione di migliori condizioni di vita per le genti delle zone montane interessate.
    Promozione della ricerca scientifica e dell'educazione ambientale (divulgazione della cultura naturalistica).
  • Favorire il ripristino delle attività agrosilvopastorali, compatibili con le finalità di tutela, nelle aree a più spiccata vocazione primaria.
  • L'obiettivo fondamentale è la creazione di opportunità di sviluppo attraverso una seria politica di tutela dei valori naturalistici che rappresentano la vera risorsa del territorio.

Caratteristiche generali del Parco


Le Alpi Feltrine
Il settore più occidentale, quello delle Vette propriamente dette, è caratterizzato da cime erbose (la più celebre è la piramide del Monte Pavione, 2335 m) ed estesi detriti di falda, circhi glaciali e conche carsiche.

Vi si accede dalla zona collinare (Croce d'Aune, Col dei Mich, Val di San Martin) attraverso ripidi sentieri che aggirano versanti scoscesi ma di grande interesse, con ambienti che ricordano gli aspri paesaggi prealpini.

II sottogruppo di Cimonega ha invece un'impronta tipicamente dolomitica e culmina nei 2550 m del Sass de Mura. E' accessibile dalla profonda Valle di Canzoi, dalla quale si raggiungono anche gli altopiani di Erera-Brendol e i Piani Eterni nel settore più orientale delle Alpi Feltrine. Aspetti dolomitici e prealpini sono mirabilmente fusi nei sottogruppi del Pizzocco e di Agnelezze.
I Monti del Sole
I Monti del Sole (su entrambi i versanti, del Mis e del Cordevole) rappresentano il cuore selvaggio del Parco; superbi e quasi inaccessibili, si propongono quale santuario dove le forze degli agenti naturali, sembrano respingere i tentativi dell'uomo.

Già da quote molto basse, profonde forre, canalini detritici, cascatelle, ripide creste e spuntoni rocciosi, dirupi boscati, delineano un paesaggio di rara suggestione che ricorda quello delle zone più orientali dell'arco alpino.

Il settore orientale
Anche sul versante bellunese si apprezza l'alternanza fra imponenti pareti dolomitiche (si pensi al Burel della Schiara) e cime erbose (Monte Serva). Di eccezionale pregio anche la bella foresta nella conca di Cajada e gli spalti erboso-rupestri del gruppo della Talvéna.

Caratteristici delle Dolomiti più interne sono infine i freschi versanti sulla destra idrografica del torrente Maé (Val Pramper e del Grisol) che si differenziano nettamente dagli aridi e dirupati pendii che si osservano risalendo la Valle del Piave tra Ponte nelle Alpi e Longarone.


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Le zecche, presenza scomoda
Per una dovuta e corretta informazione si informano i visitatori che all'interno del territorio del Parco, come in gran parte dell'arco alpino, è stata riscontrata la presenza di zecche, Acari parassiti che in alcuni casi possono trasmettere malattie di tipo batterico o virale anche all'uomo.

La presenza di questi parassiti è una realtà con cui è necessario imparare a convivere e non deve indurre a rinunciare all'esperienza di una visita a questi ambienti straordinari; deve però essere tenuta in debita considerazione, al fine di prendere le dovute precauzioni.
Durante l'escursione si raccomandano quindi un abbigliamento adeguato (pantaloni lunghi di colore chiaro), ed un corretto comportamento: tenersi sempre sul sentiero o nelle radure falciate, evitando di andare nell'erba alta o di sedere per terra, rappresenta già un'ottima prevenzione.
E' utile poi effettuare un accurato controllo personale una volta rientrati dall'escursione.

Nel caso in cui si sia rilevata la presenza di zecche sulla pelle queste vanno estratte al più presto, rivolgendosi al proprio medico di base o ad un pronto soccorso ospedaliero.































 
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